IL LIBRETTO D’OPERA: UN ROMANZO ITALIANO?
Cos’è il Libretto d’opera? Come nasce e come si è evoluto? In questo articolo vedremo cos’è, quando e come è nato e la sua evoluzione nei secoli.
Il libretto d’opera è il testo poetico, drammatico e letterario dell’opera in musica.
In tale accezione il termine “libretto”, divenuto oggi corrente ed entrato nella forma italiana in diverse lingue europee, è usato già dagli inizi della storia dell’opera. La sua origine va riferita all’esigua mole del testo e al formato tradizionale della stampa.
Nel corso dei secoli, esso ha via via sostituito e conglobato altri termini e locuzioni pure indicanti il testo teatrale e letterario musicato, come melodramma, dramma per musica, commedia per musica, ecc… .
In vista della sua particolare utilizzazione nel recitar cantando, il libretto mostrò sin dall’inizio la tendenza alla riduzione all’indispensabile dei dialoghi e all’inserimento, in contrapposizione a questi, di strofe e parti corali in cui dare libero sfogo al canto e alla musica.
Il primo libretto d’opera, La favola di Dafne di O. Rinuccini, con musica di J. Peri, ha sei personaggi ed è suddiviso in un prologo e sei scene con una sola didascalia. Ma la rapida diffusione del melodramma fa sì che già nella prima metà del ‘600 i confini del libretto si allarghino notevolmente grazie ai testi scritti per Monteverdi sia a Venezia che a Roma (A. Striggio jr., Busenello, B. Ferrari, G. Rospigliosi). Accanto alla favola pastorale compaiono argomenti storici; personaggi comici vengono associati a quelli tragici. Si formano le convenzioni che tanta parte avranno nella storia dell’opera in musica e che riguardano la strutturazione dello spettacolo in pezzi chiusi ( o numeri, secondo la terminologia poi entrata in uso), ognuno dotato di una sua caratteristica. Si approfondisce inoltre la suddivisione tra parti dialogate (recitativo), destinate a far procedere l’azione e accompagnate da pochi strumenti (altrove anche soltanto recitate), e momenti di stasi dell’azione in cui la musica prende il sopravvento: arie, duetti, scene d’assieme, cori. Ogni numero, poi, assumerà una sua caratterizzazione ben precisa: avremo così arie del sonno, di furore, di battaglia, ecc… La suddivisione in numeri chiusi e caratterizzati resterà costante nel libretto italiano fino all’ultimo Verdi.
Essa rispondeva alla volontà di dare preminenza alla musica sulla parola, e permetteva ai cantanti di sfoggiare fioriture che divennero sempre più ampie e spesso arbitrarie. Questa strutturazione, d’altra parte, era consona alle esigenze della larga diffusione dell’opera in musica e alla necessità di condensare in poche pagine molti avvenimenti.
Parallelamente il linguaggio stesso dei libretti si faceva sempre più convenzionale, in modo da favorire la comprensione al di là della percezione (a volte difficoltosa o impossibile) di tutte le singole parole. I sentimenti come l’eroismo, la malvagità, l’innocenza, venivano espressi con linguaggio codificato e si incarnavano in personaggi tipici, dotati addirittura di una propria facies vocale (ad es., alle voci di basso o baritono venivano affidate ruoli di malvagi).La struttura semplificata permetteva ai librettisti di muoversi con mano ferma nell’elaborazione dell’intreccio. A questa impostazione possiamo ricondurre , considerando anche qualche variazione,tutta la librettistica del secondo Seicento e del Settecento (Zeno, Metastasio, Ranieri de’ Calzabigi, Goldoni, Da Ponte).
Lontanissimo ormai dall’ideale del ritorno alla tragedia greca perseguito dalla Camerata fiorentina, il libretto diventa la base di uno spettacolo vivo e di consumo, da parte soprattutto delle classi colte: vi si celebrano i fasti dell’attuale aristocrazia dominante attraverso le gesta indomite e disinteressate dei suoi campioni più antichi. Dal popolo, invece, si diparte in particolare il ricchissimo filone del teatro comico, resosi indipendente dall’opera seria proprio nel Settecento e tutto teso alla rappresentazione dell’attualità vissuta e dei sogni del proibiti di una classe emergente che sempre più aspirava ai modelli di vita aristocratica. Contro l’invadenza degli interpreti vocali e in nome del ritorno al “recitar cantando” si svolgono le polemiche dei teorici (Marcello, Gravina, Algarotti) e i tentativi di riforma (Calzabigi e Gluck), che combattono e riducono gli eccessi.
Al termine del Settecento, mentre la struttura dell’opera seria appare un poco logora e bisognosa di frequenti innesti rivitalizzanti del repertorio comico, abbiamo ottimi libretti nel campo, appunto, dell’opera buffa che, in concorrenza con quella seria, abbandona i facili effetti e diviene commedia in musica. Così la grandezza, anche tragica, di Mozart riesce a risplendere al meglio nei libretti buffi di Da Ponte (Nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte) che non in quelli di ascendenza metastasiana (La clemenza di Tito).
Col Romanticismo, invece, mentre l’opera buffa esaurisce il suo ciclo storico, riprende vigore l’opera seria. Il libretto dell’Ottocento va incontro a una progressiva tendenza semplificatoria, dovuta in parte al processo di popolarizzazione del melodramma e in parte alla programmazione seriale che da quello traeva origine (scene di delirio, addio alla vita, innocenza svelata, ecc…), mentre il linguaggio impiegato si allontana dalla lingua parlata e da quella letteraria dell’epoca, configurandosi come una tipica espressione dell’epoca risorgimentale.
I librettisti romantici come G. Rossi, F. Romani, Gilardoni e Cammarano, prediligono ambientazioni esotiche oppure soggetti tratti dalla storia medievale o moderna, quasi sempre ricavati da precedenti lavori teatrali recitati o, più raramente, da opera di narrativa o di poesia, liberandosi dalla tirannide del lieto fine, quasi obbligatoria nel secolo precedente. Verso la metà del secolo, poi, elementi di realismo letterario borghese penetrano soprattutto in alcuni libretti di F.M.Piave per la musica di Verdi (Stiffelio, Rigoletto, Traviata), ambientati in epoca contemporanea o comunque caratterizzati da personaggi di ben maggiore spessore psicologico.
In Francia il libretto si amplifica nel grand-opèra con uno straordinario spiegamento di effetti e di trovate sceniche, soprattutto per merito di Scribe. Il nazionalismo musicale, altro portato dal romanticismo, induce, soprattutto in Germania, a una reazione alle strutture codificate del libretto. La riforma wagneriana mira a sopprimere il dualismo librettista-compositore e la distinzione tra recitativo e aria (quindi ancora un ritorno al recitar cantando), mentre la mitologia e le leggende germaniche subentrano nella vicenda storica come sfondo prediletto di ambientazione.
La riforma di Wagner, il sorgere delle scuole nazionali e il logorio delle convenzioni determinano la crisi del libretto a pezzi chiusi. In Italia Boito scrive due libretti per Verdi (Otello e Falstaff) che mirano a importare, con le dovute modifiche, i nuovi dettami wagneriani. La successiva opera verista, accogliendo ambientazioni e contenuti più dimessi (come quelli della piccola borghesia: tradimenti coniugali, lotta per la sopravvivenza, mondo degli studenti, degli impiegati, delle sartine), torna, in un certo senso, all’antica distinzione. La Romanza, nell’opera verista, è il momento di abbandono sentimentale entro lo svolgersi di un’azione spesso truce.
Con l’opera verista e i suoi librettisti Illica, Giacosa, Adami, si arresta la grande produzione librettistica. Il Novecento non darà infatti che apporti individuali, singoli tentativi di far rivivere l’opera. Individuale e non più rispondente, come in passato, alle esigenze di una larga diffusione dell’opera, bensì legata a singole esperienze culturali, è nei musicisti del Novecento la scelta dei soggetti. A volte segnata dalla collaborazione diretta con letterati puri, si pensi a R. Strauss con Hugo von Hoffmannstahl, e più recentemente a L. Berio con Italo Calvino, a volte auto librettistica in senso wagneriano, ma più spesso caratterizzata dall’adattamento musicale, da parte dei compositori stessi, di famosi testi letterari preesistenti, a configurare la cosiddetta “Literaturoper”, come nel caso del Wozzek e della Lulu di A. Berg.
L’evoluzione del libretto coincide dunque, sostanzialmente, con quella dell’opera in musica dal punto di vista delle strutture teatrali, a cui corrispondono nel tempo altrettante strutture musicali. Il tentativo di vedere il libretto come un’opera letteraria a sé stante ha dato origine a molti errori di giudizio. E’ merito della moderna critica aver ristabilito un più esatto criterio valutativo.